martedì 21 agosto 2018

Andalusia, terra da scoprire e condividere (ma ce lo meritiamo?)

Terra rude, autentica, a tratti desertica e a tratti selvaggia, l'Andalusia si prestava bene a un tour on the road, di quelli che a 30 anni ti puoi ancora permettere, fisicamente e mentalmente. Ma sali le scalette dell'aereo a Siviglia, per l'ultima volta colpito dal brusco contraccolpo freddo-caldo causato dall'aria condizionata, che aggrotti la fronte e pensi che nove giorni, seppur pieni zeppi, sono forse troppo pochi per scoprirla tutta. 

E' rammarico, è la nostalgia. E' sempre la stessa storia quando si va al sud, che sia Italia o Spagna.

No, non è solo nostalgia. 
In fondo, viaggiando in macchina sugli infiniti stradoni desolati (che rimpiangeremo da qui alle prossime ferie, tutte le volte che passeremo da Olmo) si avverte con consapevolezza che l'Andalusia, considerata comunemente e credo a ragione una delle regioni più “veraci” della Spagna, sia grande quattro volte la Lombardia. Non occorre aggiungere altro. Tradizioni, dialetti, stili di vita, climi incredibilmente diversi. Un scenario da Mille e una notte, nel senso di mille storie da raccontare con mille personaggi diversi che si muovono in mille contesti diversi.

PRIMA STORIA: MALAGA (e Costa del Sol)
Caldo umido. Appiccicoso. Il forte odore di salsedine (impressionante la sensazione che si
ha al ritorno di una gita di mezza giornata al Caminito del Rey, si risorge dal parcheggio e sembra di entrare in pescheria). E il complesso evidente per la pulizia, con un esercito di mezzi della nettezza urbana (non è una espressione figurata: esiste proprio un servizio d'ordine della Polizia che scorta il passaggio dei netturbini) che non riesce mai del tutto nell'impresa bonificatrice, resa più difficile dalla movida molesta e da pavimenti umidicci.
Eppure, Malaga sorride. Poco visitata dagli italiani, che effettivamente hanno le loro Malaghe a casa propria (vi dice qualcosa una certa Rimini?), è una città vivace ma non pacchiana, che si sforza di rimediare ai danni dell'urbanizzazione con opere imponenti in zona porto (Muelle Uno) e dà spazio a mostre importanti (Picasso e Centro Pompidou). Si è attratti dal vortice, da questo clima di festa, dove si mangia bene e si beve altrettanto, in un'atmosfera che pur nelle contraddizioni del turismo di massa riesce a mantenersi genuina.

Visitiamo poco dei dintorni: la Marbella chic, che comunque una passeggiata di due ore la merita per i suoi vicoli in fiore, e il Caminito del Rey, tappa quasi obbligata e osannata, che consiglio di fare senza guida e godendosi di più il contesto circostante, nel quale primeggia il caratteristico laghetto.

SECONDA STORIA: COSTA DE LA LUZ
L'oceano. Nel 2018 ho visto più volte l'oceano che Collestrada (tipica frase da post su Twitter). Per la prima volta ci ho fatto il bagno, sarà una banalità ma è stata una sensazione particolare, direi suggestiva. Spiagge into-the-wild frequentate da nudisti, qualche chiringuito qua e là con le assi di legno traballanti, acqua che ti inghiotte, freddissima, "dura" come il marmo. La Costa de la Luz, da Tarifa su su fino a Cadiz, non è entrata ancora nel business del turismo o forse non lo conosce proprio. Il che non è un difetto, anzi, però ciò non fa rima con comodità, a partire dalla ricerca dell'alloggio (non esistono alberghi, solo qualche ostello o villaggi/residence): noi però siamo stati fortunati, non tanto nel trovare un appartamento a Barbate, paese di pescatori e famiglie anziane che la notte frescheggiano fino alle due sull'ingresso di casa, quanto nell'averlo trovato vicino a tre supermercati, un negozio di cinesi e un distributore.

Nei dintorni, oltre alle spiagge della bassa Cosa de la Luz (Bolonia, Playa del Canuelo, Los
Canos de Meca), abbiamo il piacere di vedere Cadiz e Jerez de la Frontera che su tutte le guide super-informate è presentata come l'emblema dell'Andalusia. Noi abbiamo trovato quasi tutto chiuso, bodegas del vino cerrade con chiavistello, negozi di souvenir magrebini: ecco cosa intendevo quando parlavo della “comodità” del turismo...

Sulla tratta dal Mediterrano all'oceano, da segnalare la tappa intermedia di Gibilterra: un pomeriggio di Ferragosto azzeccatissimo, alla conquista della Rocca con vista Africa e delle famigerate scimmie, che non si sa se soffrono o soffriranno in futuro in questo ruolo di prodotto turistico da consumare a suon di selfie e noccioline, ma a vederle dal vivo parrebbe di no. L'uomo è un animale sociale, ha bisogno di compagnia, e l'uomo proviene dalle scimmie, no?

TERZA STORIA: SIVIGLIA
Al netto dei terribili calessi (che fanno il paio con le scimmie gibilterriane, solo che qui i cavalli sono “costretti” a trotterellare nel traffico di tangenziale), e degli italiani spuntati all'improvviso come i funghi dopo un temporale di fine agosto, Siviglia è una città bellissima. Una delle più belle che abbia mai visitato. Pulita, armoniosa, con grandi viali alberati (ci sono migliaia di aranci) riservati a pedoni e ciclisti, interrotti da dedali di vicoli colorati formati da palazzine stuccate con gusto e dedizione. L'Avenida de Constitucion è per antonomasia il perfetto boulevard spagnolo e, forse, europeo.  
Plaza de Espana è una cartolina, forse troppo cartolina nel senso che nell'evidente ricerca estetica non si può non notare che si tratta di un luogo “artefatto” (non è viva e vissuta come Piazza del Campo o Alexander Platz, tanto per dirne due a caso, insomma) ma si presta così bene ai filtri Instagram che qualsiasi spettatore non può che restare a bocca aperta. 

Siviglia è organizzata bene e offre diverse opzioni di fruibilità, molti siti hanno “finestre gratis” in certi momenti della settimana, anche se magari a orari strategici come la Plaza de Toros, free entry dalle 3 alle 7 del lunedì pomeriggio...
Appunto, il caldo. Negozi oscurati e tappati ermeticamente con il condizionatore sparato a mille, nebulizzatori nei dehors, siesta che si prolunga fino alle 6, nel weekend addirittura fino alle 8 di sera, ghiaccio su ogni bicchiere (americanata poco gradita tanto quale il free refill dei fast food). Il tutto accentuato dall'esodo estivo degli indigeni (come biasimarli!): ad agosto Siviglia appare una città quasi priva di anima, oppressa dal sole, che pullula di comparse (i turisti) e non di veri personaggi (i residenti), una variabile che non saprei giudicare se positiva o negativa ma sicuramente significativa perché è una prospettiva “altra”, come se fossimo dietro le quinte del palcoscenico.
 
Un palcoscenico variopinto come quello dell'Andalusia, che risente fortemente degli influssi arabi, dove primeggiano i simboli ancestrali dalle radici così profonde da non vederne neanche l'origine, ai quali sono dedicati culti quasi religiosi (il toro, il flamenco, il rito del vino dolce, la siesta, le tapas, il tonno rosso, la corrida, etc etc).

Tanto ancora ci sarebbe da scoprire nei pueblos blancos e nei riti di paese, ma la sensazione è che l'esperienza, oltre che tempo, richieda coraggio, fatica, pazienza, spirito di osservazione e voglia di approfondire
L'Andalusia non è chiusa. Non è scorbutica né misteriosa: è solo complicata.  L'Andalusia è una terra tutta da scoprire e condividere, il problema è che forse non ce lo meritiamo.

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